Come si costruisce un inferno?
Si potrebbero fare molte battute, ma preferisco una ricetta, e un esempio. Sarà un caso di infernologia applicata, un carotaggio del funzionamento culturale nell’età della sua polverizzazione memetica. (Sullo sfondo, la dialettica degli infiniti che lombrica inosservata, rosicchia un osso di terrore, eccetera.)
Come si costruisce un inferno?
Prendi un pezzo della realtà e ripetila all’infinito in ogni direzione, e poi ripetila all’infinito nel tempo per l’eternità. Prendi ogni singolo dettaglio e rendilo assoluto: ovvero, riduci ogni dimensione percettiva ad un singolo elemento nello spettro.
Prendi le Backrooms: le abbiamo costruite per scherzo, e sono risultate essere un esempio elegante di una precisa visione infernale.
If you’re not careful and you noclip out of reality in the wrong areas, you’ll end up in the Backrooms, where it’s nothing but the stink of old moist carpet, the madness of mono-yellow, the endless background noise of fluorescent lights at maximum hum-buzz, and approximately six hundred million square miles of randomly segmented empty rooms to be trapped in
God save you if you hear something wandering around nearby, because it sure as hell has heard you
La ragione è semplice, e possiamo rintracciarla segmentando il meme con una certa precisione.
Innanzitutto, la condizione: If you’re not careful and you noclip out of reality in the wrong areas.
Il linguaggio è una cosa meravigliosa, perché permette una composizione di assunti multipla e complessa nello spazio di un sintagma. “Se non stai attento” – tu, proprio tu, lettore, in un momento di disattenzione. La prima condizione è un’uscita dalla condizione di sicurezza e controllo: questa è la condizione principe di ogni storia che si rispetti. Il primo passo è fatto: che sia la selva oscura, o il ramo sbagliato di un incrocio imboccato sbadatamente, ecco la svolta kairotica e imprevista. Per quanto tuttavia la prima condizione sia immediata e quotidiana, la seconda condizione è impossibile, e soprattutto paradossale. Che cosa significa “noclip out of reality”? Significa che la realtà non è reale, dal momento che in essa è possibile un’azione il cui senso è dato solo alla condizione di muoversi in un ambiente virtuale.
Si arriva all’illuminazione o all’inferno nello stesso modo, ovvero attraversando un paradosso. nella Logica del senso Gilles Deleuze dichiara: “Bisognerebbe essere troppo “semplici” per credere che il pensiero sia un atto semplice, chiaro a se stesso, che non ponga in gioco tutte le potenze dell’inconscio e del non senso nell’inconscio”, e ancora “I paradossi di significazione sono essenzialmente l’insieme anormale (che si contiene come elemento o contiene elementi di tipo diverso) e l’elemento ribelle (che fa parte di un insieme di cui presuppone l’esistenze e appartiene ai due sottoinsiemi che determina). I paradossi di senso sono essenzialmente la suddivisione all’infinito (sempre passato-futuro e mai presente) e la distribuzione nomade (ripartirsi in uno spazio aperto, anziché ripartire in uno spazio chiuso). Ma in ogni modo, hanno la caratteristica di andare in due sensi contemporaneamente e di rendere impossibile un’identificazione”.
Le Backrooms sono l’epitome dell’identificazione impossibile: Sono le stanze dietro, senza che esista un “fuori” dal quale gli squallidi muri gialli le separino, come non c’è un qualcosa che giustifichi il “dietro” al quale il nome si riferisce: solo approssimativamente cento milioni di miglia quadrate di stanze segmentate randomicamente, e vuote.
La monotonia assoluta le prova di un “quì” definito, nel quale non c’è niente se non la follia. Quel “nothing but” è diverso dal “qualcosa”, è semplicemente un non-niente, perché in se resta indefinito eppure apparente. L’odore di fondo delle Backroom è un odore sbagliato, di moquette marcita, il suono delle backroom è il suono delle lampade al neon, Il suo colore è la follia del mono-giallo. La qualità leggermente nauseante di ciascuno di questi fastidiosi dettagli è amplificato fino alla mostruosità dal ripetersi infinito, dal suo esserci null’altro, per migliaia di chilometri, intorno: lo spettro di ogni sensibilità, ogni suono, ogni colore, ogni odore ridotto a un’unico particolare, eppure al più penetrante e disgustoso dei particolari immaginabili.
Le Backrooms sono innaturali e disfunzionali, né dentro né fuori, sono un glitch della realtà stessa. In esse, non c’è nessuno, ma non si è soli: e anche se la solitudine è terribile, la presenza inquietante di un “altro” fantasmatico è peggiore.
Come si costruisce un inferno?
Non è in fondo difficile. Basta prendere un frammento di qualcosa che non sia quì né lì, una sensazione di disagio ambigua, alla quale sia difficile assegnare un senso, e renderla eterna. O almeno questa è la regola della produzione di inferni nell’epoca memetica. Si potrebbe guadagnare un po’ di prospettiva comparando le Backrooms all’inferno di Milton:
Su quell’atroce, aspro, diserto sito;
Carcere orrendo, simile a fiammante
Fornace immensa; ma non già da quelle
Tetre fiamme esce luce; un torbo e nero
Baglior tramandan solo, onde si scorge
La tenebrosa avviluppata massa
E feri aspetti e luride ombre e campi
D’ambascia e duol, dove non pace mai,
Non mai posa si trova, e la speranza
Che per tutto penétra, unqua non scende.
Quivi è tormento senza fin, che ognora
Incalza più, quivi si spande eterno
Un diluvio di foco, ognor nudrito
Da sempre acceso e inconsumabil solfo.
Qui il paradosso è la luce buia, il fuoco nero, inestinguibile. Sempre l’immensità, sempre il deserto, sempre l’asprezza, come quella dantesca. Ma nel confronto con le Backrooms il Pandemonio impallidisce.
Il vero orrore, rispetto alle fiamme dell’inferno, alle quali si è consegnati per la disperazione perenne da una volontà suprema e legiferante, è la futilità assoluta. Non vi sono diavoli né dei, a confermare la giustizia dei destini umani e sovrumani al di là della realtà quotidiana. Anzi, la realtà quotidiana stessa, con le sue pretese di senso immediate, con i suoi piccoli gesti e le sue piccole gioie, viene smentita. Non è altro che una copertura sottile, una virtualità fra le altre, e appena dietro, appena più in là, si stendono corridoi infiniti che non portano da nessuna parte, e interi eoni di moquette putrida, stanze per uffici che non esistono, costruiti da nessuno, eppure non deserti.
Attenzione, dunque, a non distrarsi, a non vagare nelle aree sbagliate.
L’inferno del presente si stende appena al di là delle aree programmate. Basta un piccolo noclip fuori dal presente, dal reale, ed eccolo. Infinito, disgustoso, eterno.
Benvenuti nelle Backrooms.